....Allora, io provo veramente un senso di disagio quando, leggendo le recensioni o quello che si scrive attorno a questo secondo libro (sospirando): viene fuori l’animale araldico, viene fuori il Gattopardo dal taschino. Perché? Perché è la storia della decadenza di una famiglia nobile, perché c’è il mezzadro, perché c’è eccetera eccetera… Non c’entra nulla!!! Credetemi! Non c’entra assolutamente nulla. Semplicemente perché quello è lo sguardo di un aristocratico e la macchina da presa è posta in un modo opposto a quella della Agnello. Quello è lo sguardo dall’alto verso il basso e questo è lo sguardo dal basso verso l’alto. Ed è tanto, perché è quello della nostra migliore tradizione narrativa, a cominciare da el sciur Lisander, milanese, no?! E che vi hanno fatto studiare a scuola, cosa sono gli umili e tutto quello che ne consegue nei Promessi Sposi. Per sua stessa dichiarazione, la Hornby, c’ha fatto sapere che la zia marchesa è realmente esistita, ha fatto parte della sua famiglia e ha lasciato, pare, i suoi averi anche alla sua famiglia. E, come dice nel romanzo, nessuno gliene fu grato! Ora, il signor Luigi Pirandello se ne era occupato in precedenza della stessa signora marchesa, in un racconto, in una novella meglio, intitolata: Tutte e tre. La sostanza del fatto, qui Simonetta potrà contraddirmi quando vuole, è la stessa, cioè a dire: c’è l’anomalia di una signora la quale si piglia in casa la vecchia amante, la giovane amante, il figlio avuto dal marito dalla giovane amante. Ora, di questa anomalia, di questa diversità, Pirandello, ne fa una chiara attribuzione, dice che la protagonista non è di origine nobile, è figlia di un massaro arricchitosi perché nelle sue terre hanno trovato dei filoni di zolfo, ma che è rimasto contadino, la figlia è rimasta contadina nel modo di fare, nel modo di agire, e quindi proveniente da un ceto diverso, perciò in un certo senso anomala dentro a quell’ambiente. C’è un punto, che io ho trovato straordinario, di contatto, perché non c’è niente di male, anzi… ed è il momento della corsa, che è il momento cinematografico molto bello, di lei, nel racconto di Pirandello, quando con le calze mezze cadute corre, ma è una contadina e quindi può permetterselo, in un certo senso; è lo stesso tipo di corsa che fa la zia marchesa quando le dicono che il marito è morto nell’orto, nel giardino della vecchia amante. Non c’è altro punto di contatto. E c’è una differenza sostanziale, perdonate la banalità di quello che dico, Luigi Pirandello scrive una novelletta di cinque pagine e Simonetta Agnello Hornby mi scrive un romanzo di trecentoventidue pagine, quindi delle cose diverse ci sono. E che cosa sono? La cosa che più di tutti mi ha colpito non è tanto lo sfondo, quello che io chiamo sfondo altri lo hanno trovato come primo piano, di una società nobiliare che comincia perdere i colpi, ma è lei, la protagonista. Il problema è la solitudine estrema della protagonista, marchiata fin dalla nascita da un segno di diversità: i suoi capelli rossi....