09 June, 2007

La Mennulara


beautiful.

chi è — o piuttosto — chi è stata la "mennulara", al secolo Maria Rosalìa Inzerillo? Intorno a questo interrogativo si snoda, per più di duecento pagine, l’opera prima di Simonetta Agnello Hornby, una matura signora di origini palermitane, ormai naturalizzata inglese per matrimonio, e che da trent’anni svolge l’attività di avvocato nel quartiere londinese di Brixton, dove vive per lo più a contatto con la comunità di colore e con quella musulmana, occupandosi principalmente dei diritti delle donne.

Ed è proprio da questa molteplicità di stimoli — la sicilianità, per usare un termine caro a Leonardo Sciascia — unitamente a quel lucido distacco da luoghi e persone, in lei maturato dopo anni e anni di lontananza dall’ambiente d’origine, che solo può consentire una serena visione dei fatti, non disgiunti dalla frequentazione con la parte più debole e "scoperta" della comunità londinese — quelle donne, originarie dal "terzo mondo", i cui diritti da sempre sono stati calpestati e offesi — che il romanzo della Agnello Horby trae una linfa, cui peraltro non fanno di certo difetto le molte letture, delle quali di sicuro l’autrice deve essersi alimentata nel corso di questa sua "duplice esistenza", caratterizzata in gioventù dalla luce e dai sapori mediterranei, indi dalle austere brume nordeuropee.

Se, a tutta prima, la mente può riandare a certi gialli del già citato Sciascia, sia per quel certo andamento di tipo "cronachistico" che, fin dalle sue prime pagine, connota l’intero romanzo, sia per certi "spaccati" d’ambiente, di cui giusto in quegli anni — l’autrice colloca nel settembre ’63 la morte della "mennulara", sulla quale l’intera trama del libro è imperniata — anche il cinema si impossessa, specie nella cosiddetta "commedia all’italiana" (tipico esempio ne è quel Signore e Signori di Pietro Germi, gustosa quanto impietosa satira della provincia veneta), con il procedere della lettura, non possono non venire in mente certi scorci degni della grande tradizione degli scrittori siciliani: da Giuseppe Tomasi di Lampedusa con il suo Gattopardo — si pensi, a questo proposito, alla descrizione del fatiscente Palazzo dei Principi di Brogli — a Federico De Roberto con I Viceré; non sono stati pochi i critici, i quali hanno sottolineato a questo proposito il fatto che anche il libro della Agnello Hornby inizi proprio con un decesso, quindi con un funerale — come nel grande affresco sulla decadenza della nobile famiglia siciliana dei Francalanza Uzeda, immortalata dall’autore verista — e di cui peraltro il cinema non ha tardato, anche in questo caso, ad impadronirsi, specie riguardo a certe rappresentazioni di maniera sulla mafia italo-americana come nel film Fratelli del regista Abel Ferrara.

Viene da chiedersi, entrati a questo punto in medias res, quale peso abbia giocato effettivamente il ruolo della presenza mafiosa nell’intera vicenda: di certo non casualmente l’autrice palermitana fa iniziare il racconto nel settembre del ’63: in effetti un anno chiave nel delinearsi di quella strategìa, che — mettendo in atto la strage di Ciaculli, avvenuta il 30 giugno del ’63 per mano dei due clan rivali delle famiglie mafiose dei Greco e dei La Barbera — avrebbe dato inizio a quelle annose "guerre di mafia" protrattesi fino agli anni Ottanta, segnando parimenti il passaggio dalla mafia di tipo rurale degli anni Quaranta/Cinquanta — quella, per intenderci, del latifondo e della lupara, della strage di Portella della Ginestra e di Salvatore Giuliano — a una di tipo urbano, concentrata essenzialmente sulla speculazione edilizia, nonché foriera di quei traffici di droga e di quei maneggi nell’alta finanza, che ne hanno rappresentato la caratteristica saliente fino ai nostri giorni e i cui echi non difficilmente si possono scorgere nella filigrana della narrazione.

Va da sé che sarebbe tuttavia, a questo proposito, piuttosto riduttiva la definizione di romanzo di mafia, parlando della Mennulara: è pur vero che, fin dalle prime pagine — quelle per l’appunto nelle quali vengono descritte le esequie della donna, morta a soli 55 anni — campeggia la figura di Don Vincenzo Ancona, boss del paese, abbigliato anche in chiesa con la classica coppola come da manuale, che ormai giunto in tarda età incute ancora terrore nei suoi compaesani… che rapporto c’è stato fra lui e la "mennulara"? E come ha fatto quest’ultima — lei di famiglia miserrima, lei che fin da bambina era stata una "raccoglitrice di mandorle" e che all’età di quindici anni era entrata come serva (criata) nella casa dell’avvocato Orazio Alfallipe, preservando la di lui moglie, Adriana, dalla solitudine — una volta passato a miglior vita il consorte — e salvando Gianni, Carmela e Lilla — i tre figli della coppia — dalla rovina economica? Chi è stata realmente questa donna? Un angelo oppure un demonio? Una santa o una profittatrice? L’amministratrice accorta di casa Alfallipe o una donna dai costumi facili?

Via via che se ne raccontano le sorti e le vicende, in uno scenario quasi pirandelliano di asserzioni e di smentite, la Agnello Hornby delinea veramente un personaggio degno della tematica dell’autore dei Sei personaggi, di Uno, nessuno e centomila e di Così è (se vi pare)… Peccato che — almeno a detta dell’autrice stessa, nel corso di una recente intervista — non sia, almeno per adesso, in procinto di regalarci un altro "caso letterario", così come è avvenuto per questa sua opera prima, davvero prestigiosa.


guarda cu sugnu e nun guardari cu era

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